Che succede se in un ospedale, dove la gente dovrebbe guarire si inizia invece a morire? E se a morire, ammazzata poi, è nientemeno che la farmacista del nosocomio, Cristina Demarca, “un metro e settantotto centimetri di femmina allo stato puro, praticamente l’Everest col tacco dodici, camicette scollate e minigonne inguinali sotto un camice perennemente aperto. Il desiderio di ogni essere vivente di genere maschile.”
È quanto appurerà il direttore Angelino De Pierro, scandagliando insieme all’ispettore di polizia Pasquale Ronca, la vita privata di questa femme fatale, attraverso le testimonianza di tutti quelli che l’hanno conosciuta e gli uomini, tanti, che l’hanno avuta. In primis, del vecchio amico, il neurologo Agatino Lentini, che per lei s’è rovinato, rimettendoci moglie e figli e danaro. E tutto per scoprire, infine, quanta fragilità possa nascondersi proprio dietro alla bellezza più desiderata arrivando così alla soluzione a sorpresa del giallo.
Giallo che altro non è se non il pretesto attraverso il quale, Peppe Cugno, ci offre un ritratto assai gustoso della provincia, dove si sa tutto di tutti, perfino la qualità delle valige fatte volare giù dalla moglie del fedifrago Lentini, giudicata, in un’annotazione insuperabile, eccelsa perché integre all’atterraggio. Ed ecco inoltre la descrizione di un fosco ambiente di lavoro, con tutta la gamma di personaggi, dai servili, agli arroganti, ai raccomandati e i livorosi; e, di contro, la rilassatezza delle riunioni con gli amici di una vita, le corse mattutine, la goliardia dello sport dilettantesco. Tutto in un racconto agile, ironico, sornione, da leggersi tutto d’un fiato; spesso trattenendo le risate o, più spesso, non trattenendole proprio.
Gaetano Cappelli
dalla prefazione:
“Quando abbiamo iniziato a scrivere e ad amare la scrittura quella creativa ancora non esisteva. Si cominciava dai quaderni piccoli con riga larghe. Bisognava imparare, esplorare, conoscere. Nelle grandi città oggi si organizzano corsi per aprire la mente. Quasi per ripercorrere con la fantasia quello che non si vede più. In fondo siamo diventati tutti un po’ più ciechi. Gli occhi non roteano, non dilatano le pupille. L’orizzonte è una suggestione, si è smaterializzato. Più che vederlo, appunto, si percepisce.
Una delle ragioni per le quali la provincia si fa preferire è forse ancora questo rapporto proficuo con la realtà. Non un insieme, ma un solo microcosmo. Non la fantasia fine a se stessa, ma la tangibilità. Relazioni strette che sono anche minacciose. Non uno spettacolo televisivo, non certo una fiction bensì il territorio. La piazza, iI campanile, il bar, la scuola, il corso, la camminata, l’ospedale, le persone in carne ed ossa. Anche la morte. Come in questo noir di Peppe Cugno”